IL TRIBUNALE DI PALERMO CONDANNA UNICREDIT A PAGARE € 700.000 PER UN CONTRATTO DERIVATO DEL TIPO INTEREST RATE SWAP

LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO DERIVATO PER IL GRAVE INADEMPIMENTO DELLA BANCA

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli
pubblicato su www.derivati.info

La sentenza in commento, emessa dal Tribunale Civile di Palermo in data 11/2/2025, con numero 664/2025 (giudice monocratico dott. Francesco Paolo Torrasi), si pone in termini decisamente originali nel panorama giurisprudenziale di questi ultimi anni in tema di contratti derivati, giacché essa si discosta da alcuni assunti ormai quasi unanimemente accettati nella maggior parte delle pronunce dei giudici di merito in subiecta materia e ci offre una ricostruzione dogmatica piuttosto insolita, basata sulla risoluzione del contratto per grave inadempimento della banca ai suoi obblighi di diligenza professionale.

Il giudice siciliano, ponendosi anche in espresso dissenso rispetto all’orientamento delle sezioni unite della Cassazione civile, di cui alla nota sentenza n. 8770 del 2020, ha rigettato l’idea della centralità del Mark to Market dello swap e degli scenari probabilistici sull’andamento dei tassi d’interesse come fattori decisivi di validità/nullità del contratto.
La questione giunta all’esame del Tribunale del capoluogo siciliano riguardava un contratto di leasing della durata di 15 anni, avente ad oggetto l’investimento di un’azienda isolana nel settore delle nuove energie da sistemi fotovoltaici, a cui la banca Unicredit aveva suggerito di affiancare uno strumento finanziario interest rate swap apparentemente della tipologia più semplice, ossia un plain vanilla.

La società privata aveva adito la Giustizia civile denunciando un notevole scollamento tra le caratteristiche tecnico-finanziarie dello swap e la struttura economica del sottostante contratto di leasing, evocando la violazione della nota determinazione Consob DI/99013791 del 26 febbraio 1999 e lamentando la sostanziale inettitudine dello strumento finanziario ad assolvere alla dichiarata finalità di copertura del rischio di oscillazione dei tassi nel contratto sottostante.


Nel merito, la parte attrice in giudizio aveva dedotto che diversi erano i due tassi d’interesse assunti a riferimento, rispettivamente per il leasing e per lo swap; inoltre, diversi erano i rispettivi importi nozionali dei due relativi piani di ammortamento, diverse erano le periodicità di addebito dei rispettivi oneri e, infine, diverse erano finanche le durate temporali e le scadenze dei due contratti, essendosi lasciati ben quattro anni del contratto di locazione finanziaria del tutto scoperti rispetto alla dichiarata funzione di “copertura” dei rischi di aumento degli oneri finanziari a carico della società-cliente.

Nelle sue conclusioni, l’azienda siciliana aveva dunque chiesto pronunciarsi la nullità del contratto derivato ovvero, in subordine, il suo annullamento alla luce dei vizi della sua volontà negoziale ovvero ancora, in estremo subordine, la
risoluzione del contratto per il grave inadempimento della banca convenuta agli obblighi di comportamento gravanti sugli intermediari qualificati (art. 21 TUF, artt. 39 e segg., reg. Consob di cui alla delibera n. 16190 del 2007).
Esaminando i dedotti profili di nullità del contratto, il giudice palermitano, distinguendosi dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto di escludere la sussistenza di qualsiasi anomalia, all’interno del contratto swap oggetto di causa, tale da inficiarne a monte la validità.
E così, lo stesso giudice ha escluso qualsiasi patologia sul Mark to Market del derivato, ancorché sia risultata mancante l’indicazione, da parte della banca, di qualsivoglia formula matematica utile e funzionale ad addivenire al relativo calcolo su basi univoche e trasparenti.

Al contempo, l’organo giurisdizionale isolano non ha inteso attribuire alcuna rilevanza esiziale alla omessa esteriorizzazione, nella modulistica contrattuale, degli scenari probabilistici dei tassi d’interesse né ha fatto scaturire alcuna nullità dello swap per via del riscontrato disallineamento tra alcune caratteristiche strutturali del contratto di leasing e quelle dello stesso derivato.


Pertanto, dopo avere respinto le domande di nullità contrattuale ed avere dichiarato prescritta l’azione di annullabilità dello swap (per essere stata introdotta la domanda giudiziale oltre il termine di 5 anni dalla sottoscrizione del contratto), il Tribunale di Palermo è giunto alla determinazione di inquadrare la fattispecie sottoposta al suo esame muovendo «dal dirimente rilievo dell’inadeguatezza della strutturazione finanziaria dell’operazione a far fronte pienamente alle esigenze di copertura del ‘sottostante’».

In buona sostanza, è stato ritenuto, sulla base di accertamento peritale demandato ad un c.t.u., che il derivato negoziato dall’azienda attrice non avrebbe mai potuto effettivamente assolvere alla sua funzione di mitigare i possibili effetti negativi connessi ad un ipotetico rialzo del tasso d’interesse variabile a cui era (parzialmente) agganciato il piano d’ammortamento del leasing, giacché tale tasso d’interesse variabile «rappresentava solo una delle tre componenti di determinazione dell’onere posto a carico della società nel contratto sottostante, col risultato di rendere il plan vanilla prescelto non pienamente rispondente all’estrema complessità della struttura finanziaria del leasing».

In altre parole, essendo emerso un effettivo disallineamento tra leasing e derivato interest rate swap, tale elemento non è stato qualificato – in linea con la giurisprudenza dominante – quale fattore di invalidità del contratto derivato bensì ha assunto rilievo sotto il mero profilo dell’inadeguatezza dello strumento finanziario rispetto agli obiettivi della società-cliente come dichiarati nel questionario di profilatura, riferibili all’effettivo bisogno di munirsi di uno strumento di copertura dei rischi di oscillazione dei tassi d’interesse.

E dunque, laddove una parte consistente della giurisprudenza considera tanto il Mark to Market quanto la prospettazione degli scenari probabilistici come elementi facenti parte dell’oggetto del contratto derivato (ex plurimis, Cass. civ., n. 24654 del 2022; Cass. SS. UU., sent. n. 8770 del 2020, entrambe già commentate su DERIVATI.INFO), il Tribunale di Palermo, nella sentenza in commento, ha escluso «profili di indeterminatezza o di indeterminabilità suscettivi di suffragare ipotetiche nullità negoziali (per mancata esplicitazione della clausola MtM, dei costi impliciti e degli scenari probabilistici)», sposando una nozione piuttosto discutibile di Mark to Market, considerato al pari di un mero dato informativo anziché quale prezzo del contratto (ovverosia «un dato conoscitivo per la trasparenza dell’operazione, utile a colmare l’asimmetria informativa naturalmente esistente tra le parti»).

Proseguendo nel suo articolato iter motivazionale, il Tribunale di Palermo ha dunque individuato nel modus operandi di Unicredit Banca un grave inadempimento dell’intermediario al suo obbligo, conforme alla normativa di settore ed al contratto-quadro vincolante tra le stesse parti, di fornire un’attività di consulenza e di ausilio al cliente nel modo più adeguato possibile agli effettivi obiettivi di investimento di quest’ultimo.
Secondo il giudice isolano, «malgrado, dunque, l’intermediario sapesse che l’obiettivo di investimento era di arginare totalmente la variabilità del tasso di interesse del ‘sottostante’, (…) propose all’investitrice uno strumento finanziario inadeguato alle caratteristiche del leasing, con ciò non personalizzando l’offerta rispetto alle specifiche esigenze del cliente».

Inoltre, sotto il profilo dell’obbligo di informazione attiva, dopo avere considerato lo swap al pari di un prodotto illiquido ai sensi della comunicazione Consob n. 9019104 del 2 Marzo 2009, il Tribunale del capoluogo siciliano ha ritenuto l’intermediario anche inadempiente per il fatto di non avere provato di avere fornito all’investitore «un’informazione adeguata (“su misura”), tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente»: in particolare, è stata ritenuta mancante, o comunque del tutto insufficiente, un’informazione specifica ed adeguata al cliente «delle caratteristiche intrinseche del prodotto finanziario e della componente specifica di rischio, segno di grave inadempimento contrattuale, costituente fattore di disorientamento dell’investitore».

In conclusione, una volta pronunciata la risoluzione del contratto di swap, banca Unicredit è stata condannata a pagare a favore dell’azienda attrice (assistita dagli avvocati Giuseppe Angiuli ed Anna Papa) tutti i flussi differenziali negativi generati dal derivato durante l’intero suo periodo di funzionamento che, tenuto conto anche degli esborsi avvenuti medio tempore in corso di causa, ammontano complessivamente a quasi 700.000 euro, con la maggiorazione degli interessi legali maturati dal dì della messa in mora stragiudiziale.


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