LO SMANTELLAMENTO DEL SISTEMA-GIUSTIZIA NELL’EPOCA DELLA COSIDDETTA “AUSTERITÀ”.

Articolo pubblicato sulla testata online IL SUDEST

 

Ci dicono che viviamo nell’epoca della cosiddetta “austerità”, in cui risponderebbe al nostro interesse generale “risparmiare soldi pubblici” e “fare sacrifici” in attesa di non si sa quale futuro migliore.

In realtà, il clima di questi ultimi anni di “austerità” è servito ad alcuni Poteri Forti, saldamente alla guida degli organismi tecnocratici della U.E., per imporci silenziosamente l’attuazione a tappe forzate – senza averci dato finanche il tempo di rendercene conto – di un nuovo modello di società oligarchica (ossia in cui il Potere ricadrà in delle cerchie sempre più ristrette di persone altolocate), i cui effetti investiranno ogni ambito della nostra vita, da quello lavorativo a quello alimentare, da quello medico-sanitario a quello informativo-mediatico.

In questo processo di radicale trasformazione delle società nazionali, che sta prendendo visibilmente corpo negli ultimi anni, a farne le spese c’è anche il mondo della Giustizia italiana, che è stato interessato – al pari di tutti i settori di tradizionale intervento dello Stato sociale, quali sanità, previdenza e scuola pubblica – da una serie incessante di tagli draconiani alle sue strutture e risorse, la cui incisività e pervasività sta pesantemente trasformando la stessa percezione del rapporto tra cittadino e Giustizia.

Come molti sanno, a partire da settembre dello scorso anno, sono stati soppressi 30 Tribunali italiani con altrettante Procure della Repubblica, 220 sezioni distaccate di Tribunale (corrispondenti alle vecchie Preture, già soppresse nel 1998) e ben 667 uffici del Giudice di Pace.

Da ultimo, il Governo-Renzi ha recentemente annunciato che nello schema di decreto-legge di “riforma” della Pubblica Amministrazione, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 13 giugno, si prevede pure la imminente soppressione, a far data dal 1° ottobre di quest’anno, di tutte le sedi distaccate dei TAR (Tribunali Amministrativi Regionali), vale a dire di quelle sedi dislocate in città non capoluogo di Regione (come Brescia, Catania, Lecce, ecc.).

Non era difficile per chiunque prevedere in anticipo le conseguenze pratiche che questo processo di smantellamento delle strutture della Giustizia italiana avrebbe determinato (così come, in effetti, sta determinando) nella vita dei cittadini e di chi ogni giorno si rapporta al mondo delle aule dei Tribunali e delle cancellerie: col venir meno dei tanti uffici decentrati che per un lungo periodo, pur con tutti i loro limiti strutturali, avevano comunque fatto sentire il cittadino “vicino” al servizio-Giustizia, si sta passando da una situazione di atavico disagio (dovuto alla gran mole di processi a fronte di risorse umane e strumentali da sempre insufficienti) ad un contesto di tendenziale paralisi sistemica.

 

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La protesta degli avvocati italiani contro la chiusura degli uffici giudiziari

 

Solo gli ingenui possono credere alla fondatezza delle risibili giustificazioni generalmente adottate dal potere politico a copertura di operazioni di smantellamento di proporzioni mai viste prima, sia che si alluda alla presunta necessità di operare “risparmi” nella spesa pubblica (magari per “ridurre il debito” che invece, chissà perché, continua regolarmente ad aumentare) e sia che si faccia riferimento alla altrettanto presunta necessità di “razionalizzare” o “semplificare” l’attività della Pubblica Amministrazione.

La verità è che il sistema-Giustizia sta vivendo ai giorni nostri un mutamento di dimensioni epocali, che si iscrive nel più generale disegno di trasformazione della nostra società, in senso oligarchico, messo in atto dai Poteri Forti sovra-nazionali a cui si è appena fatto cenno.

Se provassimo a leggere la realtà alla luce della storia e dunque spogliandoci dei fuorvianti schemi di ragionamento impostici dall’odierno pensiero unico politicamente corretto, non dovrebbe poi apparirci così difficile individuare la logica (perversa) che al giorno d’oggi sta ispirando la pervicace azione di smantellamento generalizzato dei presidi della Giustizia fino ad oggi amministrata “in nome del popolo italiano” alla cui esistenza il nostro Paese era abituato fin dai tempi di affermazione della sua Unità nel 1861: a quell’epoca, le autorità governative del neonato Regno d’Italia, al fine di affermare la propria inedita autorità su tutto il territorio nazionale, avvertirono non a caso la necessità di insediare degli uffici giurisdizionali (appunto le vecchie Preture) in forma decentrata e capillare, dalle più piccole città fino alle più remote zone di montagna.

Non v’è dubbio, infatti, che l’esercizio della funzione giurisdizionale, fin dai tempi dell’Antica Grecia, costituisca tradizionalmente una delle più palpabili manifestazioni attraverso cui uno Stato esprime la sua esistenza ed afferma la sua autorità agli occhi dei suoi cittadini (o sudditi, a seconda delle epoche storiche).

Nell’Europa odierna fondata sui trattati ultra-liberisti di Maastricht e di Lisbona, in un momento di passaggio storico contraddistinto (almeno per i Paesi europei politicamente più deboli, come il nostro) da un progressivo annientamento delle funzioni e delle prerogative degli Stati nazionali, ecco che diventa essenziale, per chi davvero decide le sorti dei nostri popoli, promuovere un processo di arretramento generalizzato anche della funzione giurisdizionale dello Stato.

E per rendersi conto di come le odierne “riforme” stiano puntando deliberatamente a realizzare l’esautoramento dello Stato dalle sue storiche funzioni in ambito giurisdizionale, è necessario mettere a fuoco gli altri contestuali fenomeni che vi stanno facendo da contorno: l’aumento vertiginoso dei costi d’accesso a quel poco che rimarrà in piedi del sistema-Giustizia (con buona pace di chi ancora crede nell’art. 24 della Costituzione), la liberalizzazione dei meccanismi (anche di quelli economico-tariffari) che regolamentano la professione forense e, nello specifico campo della Giustizia civile, una spinta sistematica verso forme di mediazione privatistica del conflitto.

In altre parole, se nel campo della Giustizia penale lo Stato è ancora oggi costretto (ancora per quanto tempo?) a mantenere giocoforza un suo ruolo centrale nell’istruire i processi ai reati, ecco che negli altri campi, quello della Giustizia civile ed amministrativa, si diffonde la sensazione che dell’autorità statuale ci si dovrà ben presto abituare a fare a meno.

E dunque, se la sostanziale privatizzazione dell’attività della Pubblica Amministrazione, a partire dalla disciplina del pubblico impiego, lascia preludere in tempi medio-brevi ad una ineluttabile abolizione del sistema dei TAR (di cui si finirà per non avvertire più alcun bisogno allorquando l’attività della P.A. sarà del tutto assimilata a quella dei soggetti privati), nel campo delle liti civilistiche tra privati e tra imprese ci si rivolgerà sempre più a degli organismi anch’essi privati (ossia gli enti di mediazione e conciliazione) che, dietro pagamento di un compenso forfetizzato, lungi dall’amministrare la Giustizia “in nome del popolo sovrano”, si limiteranno ad indirizzare le parti litiganti verso una soluzione bonaria delle insorgende controversie.

L’introduzione dell’obbligatorietà del ricorso agli enti privati di media-conciliazione nel campo delle liti civili, attuata col decreto legislativo n. 28 del 2010, ha promesso ai cittadini di “risparmiare soldi e tempo” in cambio della loro disponibilità a non gravare più sui già intasati meccanismi della Giustizia amministrata dallo Stato e sui tanto oberati Magistrati.

A tutto ciò si aggiungerà presto una ulteriore, ennesima umiliazione dello Stato di diritto: un disegno di legge “per l’efficienza del processo civile”, già predisposto dal Governo-Letta e finora bloccato grazie alla protesta degli avvocati italiani, prevede che i Magistrati in futuro saranno perfino esonerati dalla “perdita di tempo” occorsa nel motivare le sentenze civili e potranno limitarsi a rendere delle pronunce in forma alquanto succinta, mentre solo quei pochi cittadini capotici amanti del diritto ed oltremodo desiderosi di leggere le ragioni logico-giuridiche per le quali hanno vinto (o perso) una causa, potranno fare richiesta (previo versamento di un obolo allo Stato) per ottenere il privilegio di leggere una sentenza completa di tutte le motivazioni scritte per esteso (che beffa per il diritto, nella patria che dette i natali a Cicerone ed a Piero Calamandrei!).

In pochi sembrano consapevoli della gravità del futuro che pende sul sistema-Giustizia italico e delle reali motivazioni storiche che sovrintendono a tale processo che, lo ripetiamo, è solo un tassello all’interno di un generale disegno di riorganizzazione in senso oligarchico della nostra società.

In fin dei conti, per chiunque resta ancora affezionato ad un concetto tradizionale di Giustizia con la G maiuscola, amministrata dallo Stato “in nome del popolo sovrano” ed a costi accessibili anche per i cittadini meno abbienti, non resta dunque che richiamarsi alla antica saggezza latina: mala tempora currunt.